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1983 Corso Avanzato di Formazione e Aggiornamento

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Discorso inaugurale del Prof. Giuseppe Maria Andreozzi

20-X-1983

Illustrissimo Signor Preside, Autorità, gentili Signore, gentili Colleghi, cari Studenti,

è per me motivo di grande soddisfazione essere oggi qui davanti a voi, mossiere di questo corso di aggiornamento alla cui organizzazione io, e tutto il gruppo angiologico della seconda Patologia Medica della nostra Università, da oltre otto mesi abbiamo dedicato ogni nostra fatica.

Le numerose adesioni che abbiamo ricevuto testimoniano che l’esigenza di una formazione e di un aggiornamento angiologici sono molto sentiti, e questa esigenza è per noi uno stimolo enorme, e speriamo di non disattenderla né in questa sede né nel nostro quotidiano impegno di studio, di ricerca, di didattica e di assistenza.

Sì, di assistenza, perché ogni nostro sforzo di studio e di didattica, sarebbe vano se non si traducesse in una utilità per il paziente. Le strutture angiologiche sono scarse, mentre vasto è il numero dei pazienti da assistere; per alcuni di essi sarebbe sufficiente una struttura tipo ospedale di giorno, per altri l’esigenza ha un carattere di vera e propria lungo-degenza.

E se queste sono le necessità, l’Angiologia, che nasce dalla grande madre che è la Medicina Interna, della quale conserva (non foss’altro che per l’ubiquità anatomica dei vasi) la visione globale ed unitaria del malato, l’Angiologia, dicevo, nel suo momento di crescita, deve avere necessariamente un suo spazio d’azione, per le caratteristiche dei malati che tratta, che mal si amalgamano nella coesistenza con altre patologie.

Il distacco dalla grande mamma, la maggiore età, per così dire, l’Angiologia l’ha acquistata anche sul piano didattico e scientifico. Negli ultimi venti anni ci si è accorti che il campo delle vasculopatie era una vera e propria torre di Babele, ove si parlavano numerose lingue, senza intendersi.

Si è ricominciato daccapo, uniformando il metodo, ripartendo dalla verità della normofunzione. Il Clinco, che quotidianamente ha davanti modelli di patologia, è tornato Fisiologo; ha rivisitato le acquisizioni della Fisiologia pura, trasferendole all’Uomo; ha riscritto, o meglio, ha reinterpretato la fisiopatologia, scoprendo che non di rado, i vecchi assunti fisiopatologici erano corretti, ma le loro reinterpretazioni errate.

Acquisito questo punto, l’applicazione clinico-terapeutica è stata consequenziale, anche perché, la gran parte delle malattie vascolari, come le vediamo in clinica, sono l’espressione attuale degli effetti di una noxa che ha agito molto tempo prima. Un approccio terapeutico quasi mai è etiologico o patogenetico, e sarebbe fallimentare se fosse soltanto sintomatico. Deve essere, ed è, necessariamente fisiopatologico. Non è scarso di successi se si basa su corrette acquisizioni fisiopatologiche.

L’aver meglio compreso la fisiopatologia ha anche colmato un  enorme ed antico solco.

Non c’è più, credo lo si possa dire a voce alta, antitesi tra Medico e Chirurgo, se entrambi sono illuminati.

L’Angiologo ha capito quando è giunto il momento ottimale, spesso unico, dell’intervento chirurgico, e ha gli strumenti per riconoscerlo.

L’Angiochirurgo ha preso atto di avere al fianco un fisiopatologo e un clinico che prepara in modo ottimale un terreno alla sua opera e che in modo altrettanto ottimale si sforza di contrastare l’evoluzione della malattia che tende a vanificare quanto realizzato.

Il costante e talvolta lungo impegno terapeutico dell’Angiologo, con a fianco il Chirurgo Vascolare o, se preferite, a fianco del Chirurgo Vascolare, ha in diversi casi (e noi stessi ne abbiamo una buona serie) consentito di abbassare il livello di amputazione; e ditemi se è poco amputare l’avampiede anziché la gamba.

Certo non è sempre così; vuoi perché spesso i malati giungono tardi dall’osservazione dei due specialisti, vuoi perché spesso la malattia è più forte dei nostri sforzi; alcune volte si giunge alla pesante amputazione di coscia. È questo il momento di costante amarezza, di atroce sconfitta!

E qui si pone allora il problema di agire a monte, prima della malattia, far profilassi!

Ed ecco un’altra importante funzione dell’Angiologia, coi suoi studi di fisiopatologia volti a cogliere le iniziali alterazioni, a far la diagnosi precoce, a correggere gli eventuali indicatori di rischio. E qui ritorna la matrice internistica; lo studio epidemiologico ed etiopatogenetico, infatti, non conosce frazionamenti specialistici, è globale, unico, come uno è il malato.

In omaggio a questa matrice internistica, costantemente presente in noi, abbiamo dedicato la prima sessione di questo corso all’ipertensione, sindrome clinica meritevole sempre di grande attenzione, il cui trattamento è già una proficua azione di profilassi sulle complicanze, ma sulla cui bontà vale ancora, purtroppo, la legge del 50% cui di certo si accennerà nel corso delle relazioni.

Le altre due sessioni sono invece dedicate alle vasculopatie periferiche, arteriose e venose; il taglio che si è voluto dare, però, è sempre di tipo internistico. Si è preferito tralasciare la trattazione didattica sistematica, proponendo temi di relazione che sono momenti di riflessione clinica sulla malattia.

E infine abbiamo dato spazio alle esercitazioni pratiche, nelle quali saranno approfonditi i temi di diagnostica strumentale.

Desidero ringraziare i Proff. Strano e Tamburino, condirettori di questo corso, e tutti coloro che mi sono stati vicini con preziosi consigli ed affettuosi suggerimenti ed incoraggiamenti.

Ma devo soprattutto ringraziare i Docenti, ai quali, proprio per garantire il particolare taglio del corso, ho dovuto usare affettuosa violenza, “imponendo” i temi di relazione. Li ringrazio qui tutti, pubblicamente, per aver accettato di partecipare nonostante la mia poca ortodossia.

Spero infine che il taglio sia gradito ai Discenti, così come spero che a tutti sia gradito il soggiorno su questo promontorio, i cui scogli videro il primo insediamento urbano della storia con il nome di Aci, tratto da quella splendida favola della mia terra, il mito dell’amore tra il figlio di Fauno e la ninfa Galatea.

Con l’augurio che questo amore possa perfondere, tanto per rimanere in tema di fisiopatologia angiologica, anche i nostri sforzi di medici e di ricercatori, nell’intento di dare più vita agli anni dei nostri malati e non più anni alla vita, termino il mio dire, ringraziandovi ancora una volta di aver risposto così numerosi alla nostra fatica.

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